Il recente sviluppo del marketing esperienziale trae le sue origini dal progressivo abbandono, a partire dagli anni ’80 della Good Dominant Logic, un approccio dominato dalla centralità del prodotto. Come notato da Vargo e Lush (2006)[1], il focus del marketing si sposta da “tangible goods and activities associated with their delivery”, al servizio inteso come espressione di competenze aziendali che il cliente acquista per alimentare i propri processi di produzione e di consumo. Le imprese non offrono semplicemente prodotti, ma servizi (risorse intangibili) e il consumatore è coinvolto nel processo produttivo, contribuendo ad aumentare il valore del bene stesso. Nasce così la cosiddetta Service-Dominant Logic che, a sua volta, pone le basi per lo sviluppo dell’experience marketing o marketing esperienziale, che si focalizza sull’esperienza di consumo (superando ancora una volta il tradizionale focus sul prodotto) e ridefinisce il marketing quale processo sociale e manageriale volto a migliorare e rendere unica l’esperienza del cliente. Il consumatore infatti non si comporta sempre razionalmente nel processo di acquisto, in quanto diventa essenziale il fattore emozionale che ne influenza scelte, comportamenti e, in generale, le risposte individuali a seguito di contatti diretti (acquisto, impiego, fruizione di servizi, ecc.) e indiretti (pubblicità, notizie, word-of-mouth, ecc.) con l’azienda.
L’impresa deve quindi cercare di presidiare una serie di canali e di elementi che hanno il potenziale di creare tale customer experience, sia in via diretta e controllabile dall’azienda, tramite la cura di: interfaccia, packaging prodotto, assortimento, atmosfera nei punti vendita, promozione, prezzo, ecc.; che indiretta e di più difficile controllo, tra cui: influenza esercitata da altri individui, esperienze pregresse individuali su altri canali, clima economico generale, personalità del singolo, obiettivo / target d’acquisto. Inoltre occorre tener presente che questa “esperienza” non è limitata ad una fase unica di contatto cliente-impresa, ma tende ad avvolgere tutte le fasi che caratterizzano la relazione: dalla ricerca di informazioni all’acquisto, consumo, fino al servizio post-vendita. In ciascuna di queste fasi è poi possibile creare “valore” interagendo con i clienti, cercando di considerarli come “partner”. I mezzi per tradurre in pratica questo concetto si possono sintetizzare in una combinazione attenta e “studiata” di diversi canali e toni di comunicazione, sia tradizionali che digitali, sui quali presentare e trasmettere un brand e dei messaggi al tempo stesso coerenti con l’immagine aziendale e significativi, ovvero capaci di suscitare emozioni, interesse, fantasie, desideri essenziali per coinvolgere il pubblico e offrire qualcosa che vada al di là di un prodotto tangibile e funzionale, ovvero una vera e propria “esperienza” positiva fondata su convenienza, qualità e valore.
Alcuni esempi di aziende che in qualche modo hanno cercato di tradurre questo approccio nelle loro strategie? Cosa ne dite, per esempio di Starbucks e Illy che hanno saputo creare e offrire qualcosa che va al di là del “proddotto / commodity” caffè, creando attorno a sé un’atmosfera, un lifestyle, oppure di Dell che ha puntato molto sul servizio e la qualità offerta alla clientela…
[1] Lusch, Robert and Vargo, Stephen (2006b), “The Service-Dominant Logic of Marketing: Reactions, Reflections, and Refinements”, Marketing Theory, Vol. 6, No. 3, pp. 281-288.
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