Al numero 12 di via Porta Dipinta si apre il portale d’ingresso di Palazzo Moroni, una delle massime espressioni dell’architettura seicentesca a Bergamo. All’interno ci aspetta Alessandro Guerriero, pronto a svelarsi sotto la guida di Giacinto di Pietrantonio, direttore della GAMeC. L’incontro del 28 settembre è davvero appassionate: Alessandro racconta il suo background, ricordando i suoi primi passi mossi ad Alchimia, prima che diventasse uno dei poli più vitali nell’evoluzione del design d’avanguardia italiano. Racconta il viaggio intrapreso dalle sue opere, presenti nelle collezioni permanenti del Museum of Modern Art di Kyoto, la Twentieth Century Design Collection del Metropolitan Museum of Art di New York, il Museum für Angewandte Kunst di Vienna, il Groninger Museum in Olanda, il Louisiana Museum of Modern Art in Danimarca, il Kunstmuseum di Düsseldorf e il Museum of Modern Art di Boston. Ripercorre il tempo in cui, nel 1984, è stato premiato con il Compasso d’Oro per la ricerca nel design, per poi diventare uno dei membri fondatori di Domus Academy. Presenta la sua idea di fragilità, un concetto che rimanda alla commozione e tenerezza di cui parla Cicerone e che oggi si sprigiona nel suo allestimento. Assunta in questa prospettiva, la fragilità diventa la chiave d’accesso per comprendere l’universo di emozioni che hanno guidato il pensiero e il concept della scenografia che alberga in questa dimora. Una visione condivisa con Stefano Albini, istruttore di laboratori di terapia occupazionale della Fondazione Sacra Famiglia, ospite dell’incontro di questo mercoledì. Insieme a Guerriero presenta le opere in mostra, una selezione di lavori che fanno parte di “Normali Meraviglie”, un progetto abilitativo ideato da Alessandro Guerriero per la Fondazione. L’obiettivo di “Normali Meraviglie” è far partecipare le persone con disabilità e lasciarle esprimersi all’interno dei diversi laboratori della Fondazione con progetti di elevato contenuto estetico e culturale. Con l’intento di aiutare queste persone ad avere una migliore percezione di sé e delle loro attività. E il design trasmette senza filtri al pubblico in sala tutte queste emozionanti fragilità.
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